Speranza e Fiducia, i motori del cambiamento

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In questo periodo di quarantena molti di noi hanno più tempo per leggere o guardarsi un film.

Un’occasione per una riflessione a partire da tre lungometraggi del nostro recente passato, che raccontano uno spaccato della nostra società prima del coronavirus priva di speranza e ripiegata in se stessa. E ci sollecitano a guardare al futuro immaginando scenari diversi.

I tre film in questione sono The favourite di Yorgos Lanthimos, A star is born di Bradley Cooper e The mule di Clint Eastwood. Prima di questa emergenza sanitaria la speranza sembrava svanita, lasciando il posto a tradimenti, egoismo e indifferenza.

The favourite mostra una corte reale inglese piena di intrighi, tradimenti, colpi spietati, dove le persone sono preoccupate solo del proprio potere e di salvaguardare ed accrescere il proprio patrimonio, senza alcun interesse per il benessere della società e per i problemi del Paese. È una proiezione della visione dominante del nostro mondo? Un mondo dove dominano i Trump, i Xi Jinping, i Putin, i Modi, gli Erdogan, i Bolsonaro, i Maduro, ed in Europa Boris Johnson, Salvini, Orban, Kwasniewsky, un mondo che abbandona l’interesse per il bene comune per ragioni di potere e dominio.

A star is born mostra una società egoista, dove ognuno pensa solo a sé stesso, e tutto viene sacrificato al business, al successo ed al denaro, e la vita delle persone, quando non ce la fanno, è abbandonata ad un tragico destino; prima di tutto viene il successo, e quindi anche le relazioni apparentemente più profonde, e dichiarate importanti, sono sacrificate.

Anche The mule è una tragedia moderna con scarsa speranza: conta poco portare la morte per droga, se lo fai per la tua famiglia e per i tuoi amici. L’unica soluzione prospettata è il rifugio negli affetti familiari e nella dignità di fronte ai colpi degli eventi, ma non c’è speranza per la società, noi tutti insieme come comunità.

Comunque, i buoni non vincono mai, come invece capitava alla fine nel cinema della mia gioventù, che si concludeva quasi sempre con un happy end, dando speranza, forse ingenua e consolatoria, ma che non lasciava con l’amaro in bocca. Oggi invece i racconti, realizzati prima di questa pandemia, confermano scetticismo, disillusione e una visione del mondo cinica, fondata sull’afferrare in solitudine quello che si può.

Lo schema delle narrazioni riconosciuto da Vladimir Propp con Morfologia della fiaba descriveva un eroe che attraversava mille prove e difficoltà, ad un certo punto era ormai perdente e senza scampo, ma poi alla fine vinceva, sconfiggendo il male; nei racconti odierni questo non funziona più. Tale percorso era evidentemente legato ad una società più solidale, ove si capiva bene che cosa fosse bene e che cosa male, ove ognuno poteva pensare di crescere con la sua comunità.

Oggi invece siamo tornati al clima culturale della tragedia greca che fotografava e insieme cercava di spiegare e di esorcizzare una società sofferente e conflittuale, sfiduciata e pessimista, ove il mistero del male non trovava spiegazione. In queste narrazioni di inizio di millennio, la società è statica, e nella ciclicità degli eventi non ha aspirazioni di miglioramento, e la persona soccombe irrimediabilmente: il suo destino personale è segnato dalla nascita e dal Fato e la soggezione al male è normale ed accettata e chi soffre non si ribella altro che contro gli dei. “È lo spirito del tempo, uno spirito scettico ed irriverente” fa dire Andrea Camilleri a Tiresia (Conversazione con Tiresia, pag. 42).

Se tutto questo rispecchia le dinamiche sociali, del potere e delle relazioni, ed aiuta a comprenderle, ci ingloba però in scenari senza scampo, in un mondo cinico e disperato, ove l’unica soluzione pare o il rifugio nel privato o lo spietato perseguimento del proprio interesse immediato contro tutti.

Ma è veramente così nella nostra esperienza quotidiana?

Certo intorno a noi vi è cinismo, lotta per il potere e per il denaro, e molte relazioni cordiali ci appaiono strumentali. Ma noi abbiamo anche esperienza personale che i momenti belli che danno valore alla nostra vita si trovano nelle relazioni disinteressate e profonde, nei momenti di condivisione, nella bellezza ed armonia intorno a noi. E poi quante volte, nei nostri momenti di difficoltà o di sofferenza, abbiamo la consolazione e la sorpresa della solidarietà da parte di amici e della nostra comunità, e quanto questo ci aiuta a ripartire.

Le società della speranza sono venute dopo i grandi rivolgimenti, dopo la Rivoluzione francese, dopo le rivolte del 1848, dopo la Seconda guerra mondiale, quando superate le dittature fasciste si voleva un mondo migliore per tutti; dopo il ’68 quando si sperava in una società più egualitaria e solidale; dopo il 1989 nei Paesi dell’Europa orientale quando si sognava una società aperta ed opulenta come quella occidentale. Ma bastano pochi decenni dopo questi eventi, e la letteratura, ed anche il cinema, parlano di speranze tradite, di rivoluzionari divenuti cinici uomini di potere: dal Crispi rivoluzionario mazziniano all’autoritario primo ministro dei Savoia; dal ’68 al berlusconismo…

Cambiare questa società per renderla più giusta e più umana, rispettosa di questo piccolo e meraviglioso Pianeta che ci siamo trovati in dono, richiede speranza e la visione di un futuro di progresso, che non è dato a priori e che non si consegue da soli, ma che è possibile conquistare insieme.

La speranza e la visione di un futuro promettente trovano radici in valori condivisi di rispetto e dignità che pongono le donne e gli uomini al centro, e considerano il denaro ed il potere come strumenti da tenere sotto controllo, perché facilmente prendono il controllo su di noi.

Questi valori nascono dalla fiducia nel destino dell’uomo, che può essere fondata su una fede religiosa, oppure derivare dalla fiducia nelle capacità e nelle potenzialità delle persone, dalla ricchezza delle loro relazioni di solidarietà, dallo stupore per la bellezza, dal riconoscimento dei diritti umani, consapevoli che siamo tutti interconnessi e che non ci si salva da soli; insomma che la felicità si trova nella felicità dell’altro, come ci ricorda sovente Leonardo Becchetti citando Gottfried von Leibnitz e Antonio Genovesi.

Anche questa pandemia, che ci fa scoprire tutti così fragili e vulnerabili e smentisce i nostri deliri di onnipotenza, è sovente un momento di riscoperta del valore degli altri, dell’importanza della solidarietà, di apprezzamento dell’impegno gratuito ed oltre ogni impegno contrattuale da parte di personale sanitario poco pagato, che prima consideravamo poco. E poi la convivialità a distanza, cantando e suonando insieme, ci fa scoprire l’importanza di relazioni e gesti che parevano dimenticati. Insomma, guardando oltre questi giorni nasce in noi la speranza.


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