Responsabilità o legge?

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Comportamenti molto diversi ci interrogano sul rapporto tra responsabilità e legalità, che sovente ci paiono divergere e addirittura contrapporsi.

Le riflessioni del nostro segretario generale Valentino Bobbio

Ragioniamo su alcuni esempi:
• una grande impresa ha spostato la sede legale in Olanda per pagare poche tasse (per efficientamento fiscale!), mentre un’altra impresa ritiene giusto pagare le sue tasse in Italia per sostenere il sistema di welfare ed i servizi pubblici;

• una piccola impresa, per avere più flessibilità e costi minori, utilizza ampiamente contratti a termine o di natura professionale per i propri collaboratori, mentre un’altra ritiene suo dovere assumere i propri collaboratori regolarmente, anche se questo aumenta i costi e irrigidisce un poco la struttura;

• un’impresa si pone il problema di ridurre sistematicamente l’impatto delle proprie attività sull’ambiente; un’altra invece cerca di ridurre al minimo i propri costi ed investimenti ambientali, magari delocalizzando in Paesi dove i vincoli ambientali e sociali sono minori;

• un’organizzazione del terzo settore, a causa del blocco delle attività per la pandemia, mette in cassa integrazione tutti i suoi dipendenti; un’altra ritiene invece di riuscire a procedere con lo smart working, “lasciando le risorse a chi ne ha veramente bisogno”;

• un’organizzazione del terzo settore applica un contratto “più conveniente” (cd contratti pirata) stipulato da improbabili organizzazioni sindacali, perché prevede livelli retributivi più bassi e consente risparmio dei costi;

• un grande sindacato, durante questa pandemia, pone in cassa integrazione i propri dipendenti (vietando giustamente in tale periodo l’uso delle mail istituzionali); un altro invece chiede ai suoi dipendenti di utilizzare le ferie non godute e, poi, di passare allo smart working;

• un politico che ancora oggi si definisce “comunista”, discutendo la riforma delle pensioni, difendeva la moglie andata in pensione anticipata, ricordando che la legge lo permetteva;

• un politico accetta incarichi ben retribuiti, compatibili con il suo ruolo, mentre un altro sceglie di vivere solo della propria carica; ricordo che Aldo Moro non solo non accettava incarichi per evitare il sospetto che approfittasse della sua posizione, ed evitava vacanze fuori casa o pranzi in ristoranti, per tutelare la credibilità del suo ruolo di politico disinteressato e imparziale;

• un pensionato italiano vive 183 giorni in Tunisia o in Portogallo dove ha preso la residenza per pagare meno tasse.

Cos’hanno in comune tutti questi casi?
Rispettano tutti la legge, ma alcuni ne rispettano lo spirito, altri invece ne rispettano la lettera, sostanzialmente eludendola.

Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, che ha stuoli di commercialisti e consulenti fiscali, dice che la sua segretaria paga più tasse di lui; Mark Zuckerberg dice che i soldi delle tasse stanno meglio nella sua tasca, perché lui è capace di utilizzarli meglio (ma per chi?) ed in maniera più efficiente dello Stato. Hillary Clinton con le sue opacità, interessi, molteplici incarichi e commesse è riuscita a farsi accusare di disonestà dal politico più corrotto e profittatore, che a sorpresa la ha così sconfitta.
Un professore di Morale o Ethics direbbe che è una questione di etica, di comportamento responsabile. Magari parlare di etica ci evoca angioletti che svolazzano o melense canzoncine di Natale “quando tutti cercano di essere più buoni”. Noi siamo sospettosi perché vediamo quante volte uno sbandierato comportamento etico viene strumentalizzato a fini di marketing e di green washing.

Quante persone non pagano le giuste tasse, e poi si presentano come filantropi attraverso grandi fondazioni che pure fanno interventi anche utili. Però in tal modo sottraggono risorse alle politiche pubbliche ed operano al di fuori del controllo democratico.

Le risorse comuni sono limitate ed i bisogni di intervento sono enormi: basta guardarsi intorno e vedere quanta povertà e disagio ci circondano. Le risorse pubbliche vanno dunque rispettate ed usate solo a fronte di vero bisogno, e così fanno le persone, le aziende e le organizzazioni responsabili. Assistiamo, invece, sovente ad un assalto alle casse pubbliche per arricchimenti privati o per accrescere il profitto, a spese di tutti, pur con un furbo e studiato rispetto del dettato delle norme.

Chi approfitta degli interstizi delle norme – che sono sempre per definizione imperfette ed incapaci di coprire tutte le evenienze – al fine di conseguire vantaggi che anche se sono legali, sono sostanzialmente ingiusti rispetto ai problemi più urgenti delle persone più fragili, ha una grave responsabilità di corruzione della società: fa concorrenza sleale, grazie ai minori costi ed alla capacità di cogliere opportunità al limite delle norme (con vantaggio per le società di consulenza e per gli esperti fiscali), e rende la vita difficile alle imprese che operano secondo giustizia, in linea con lo spirito delle leggi. Ed inoltre rende tutta la società più sospettosa, le imprese meno credibili, il clima sociale più teso, accrescendo il disagio e alimentando le ingiustizie.

L’opacità delle leggi e la loro proliferazione portano a tentare di chiudere tutti i buchi interpretativi normando sempre più (in Italia abbiamo ben 160.000 leggi vigenti rispetto alle 7.000 tedesche!), ma questa non è la soluzione, perché il groviglio delle norme si presta ad ulteriori interpretazioni di comodo. Le politiche pubbliche devono, invece, curare ad esempio il contrasto delle localizzazioni, la negoziazione di un quadro fiscale internazionale che contrasti le elusioni, favorire un’interpretazione da parte dei giudici meno formalistica e più aperta allo spirito delle norme, che abbia come riferimento i principi costituzionali. Ma nello stesso tempo è cruciale la vigilanza e l’educazione civica per un comportamento corretto secondo giustizia di cittadini ed imprese, nel rispetto sia delle risorse pubbliche sia di un clima di civiltà finalizzato al bene comune.


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