A cura di Gioele Anni, Segretario nazionale MSAC – Movimento Studenti Azione Cattolica
Parigi, 13 novembre 2015. Dopo gli attentati terroristici l’Europa è sotto shock. Ma insieme al terrore si diffonde la voglia di reagire. In breve, gli account di Facebook si colorano con la bandiera francese. Decine di migliaia di teenagers cambiano la loro foto profilo, in una spontanea espressione di partecipazione: al dolore, a un sentimento collettivo di rabbia e orgoglio, a una comunità che si riconosce libera anche grazie ai social network.
Si tratta solo di un esempio, non privo di criticità; ma ci sembra interessante per introdurre l’idea di partecipazione nel mondo di oggi, specialmente tra gli studenti delle scuole superiori. In fondo alla base del partecipare c’è un gesto che porta a «prendere parte», cioè ad attivarsi, mettersi in gioco, rendersi protagonisti. Partecipare è l’esatto contrario di essere passivi.
E nelle scuole italiane, c’è più partecipazione o più passività?
La nostra scuola è ancora fondata su un concetto illuministico di trasmissione del sapere, per cui all’apprendimento interattivo e cooperativo è ancora preferito un metodo basato sull’insegnamento frontale. La scuola italiana in generale non invoglia a partecipare; allo stesso tempo, però, moltissimi insegnanti preparati e generosi s’ingegnano ogni giorno a coinvolgere gli studenti e a renderli protagonisti nell’acquisizione dei saperi. E così la scuola diventa in qualche modo il simbolo di una contraddizione di quest’epoca: in un momento che ci offre strumenti eccezionali per generare partecipazione attiva, sperimentiamo quotidianamente una “crisi della partecipazione”. Mai come in questo tempo storico è infatti possibile informarsi, condividere idee e confrontarsi, generare conoscenza: e dal semplice clic su Internet (come quello dei teenager che cambiano la foto profilo dopo i fatti di Parigi), si può passare poi a forme di aggregazione e partecipazione che incidono nel mondo reale. Ma, allo stesso tempo, ci sono segnali di crisi della partecipazione: per esempio la disaffezione verso la politica è evidente, così come il disinteresse per forme associative tradizionali come partiti e sindacati.
Verso dove penderà la bilancia? Verso il rilancio, o la crisi della partecipazione? Noi siamo ottimisti e scommettiamo sul rilancio: tra tante difficoltà, ci sono troppi segnali buoni che emergono pian piano. Ma la scuola deve fare di più in questo processo. In che modo? Non servono rivoluzioni: basterebbe che in ogni istituto si facesse bene ciò che è già previsto dalla legislazione. Primo: insegnare i fondamenti del diritto nazionale e internazionale. Purtroppo però la materia di “Cittadinanza e costituzione” è viva solo sulla carta; e allora troppo spesso dalla scuola escono giovani che sono quasi analfabeti delle conoscenze basilari che fondano la partecipazione. Ancora, bisognerebbe aggiornare i programmi, così da portare almeno i saperi umanistici (storia, letteratura, filosofia, scienze sociali…) al passo con la modernità. E poi servirebbe dare gambe più solide ai due pilastri della partecipazione studentesca: la rappresentanza e le attività integrative, cioè i progetti che possono entrare nei Piani dell’Offerta Formativa (P.O.F.) e che anche gli studenti hanno diritto di proporre per arricchire le proprie competenze. Purtroppo però ai ragazzi manca spesso un ingrediente fondamentale per partecipare a scuola: la consapevolezza di poter essere soggetti attivi nei processi di apprendimento, e non recettori passivi di nozioni da memorizzare.
Questa è l’opera formativa che il MSAC, in rete con tanti altri soggetti, prova a fare in tutta Italia: far conoscere le possibilità di partecipazione che la scuola offre; aggregare gli studenti, senza nessuna barriera pregiudiziale ma anzi includendo anche coloro che non si riconoscessero nell’ispirazione religiosa dell’associazione; e abitare insieme le scuole, per renderle dall’interno più belle e più animate, per proporre tematiche su cui confrontarsi con metodologie interattive. Una scuola che genera noia è fonte di disinteresse per lo studio, per il sapere, in fondo per il mondo. Se vogliamo il cambiamento, che parte dal basso, non possiamo che coinvolgere gli studenti nei processi didattici e scommettere sulla voglia di partecipare delle ragazze e dei ragazzi. E allora altro che “svogliati”: dove si sentono chiamati in causa, i giovani e giovanissimi sanno sprigionare un’energia incontenibile.
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