E tu quanto ti fidi?

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La fiducia è un bene necessario allo sviluppo di ogni relazione, anche economica. Quando c’è tutto va bene, ma quando scarseggia o addirittura manca, che succede?

a cura di Valentino Bobbio

Come potremmo mangiare serenamente sospettando che il pane preso dal panettiere sia avariato o contaminato, oppure attraversare la strada temendo che l’automobile, vedendoci sulle strisce pedonali, acceleri?
La vita sarebbe un incubo, ed il terrore ci paralizzerebbe.

La fiducia è come l’aria che respiriamo, trasparente, nel senso che non ci accorgiamo della sua presenza e della sua importanza, pervasiva, ma anche delicata, fragile, e la si può inquinare. Anzi, iniziamo ad accorgerci della sua importanza, così come per l’aria, proprio quando scarseggia o è inquinata.

Vittorio Pelligra ci ricorda che il premio Nobel per l’economia Kenneth Arrow dice che la fiducia è il lubrificante del sistema sociale, e quindi anche dell’economia e delle imprese.

Ma la fiducia è molto di più che un mero bene economico, è la base delle relazioni sociali e dunque una componente fondamentale della qualità della vita.

Nell’economia, dice Pelligra, quando la fiducia viene meno, capita quello che succede ad un motore senza olio, che si surriscalda e infine fonde e si blocca; anche l’impresa senza fiducia per un po’ continua a funzionare, e poi entra in crisi.

La fiducia invece consente di affrontare i problemi senza ricorrere, anche per le transazioni più piccole, a regolare tutto con contratti che da una parte sono comunque imperfetti e incompleti e dall’altra cambiano il clima di fluidità e affidabilità dei rapporti, accrescendo la diffidenza e il sospetto reciproco: una fatica ed un continuo tormento! E l’impresa salterebbe!

Inoltre, la comunicazione online sta determinando uno spostamento nell’attribuzione della fiducia. Se un tempo la voce dell’amministratore delegato o di un dirigente aveva più autorità rispetto a quella dei dipendenti, oggi viviamo in un mondo di “fiducia distribuita” in cui si dà più peso alla saggezza di folle connesse online (Rachel Botsman sul Financial Times). Nel Trust Barometer 2018, la società di pubbliche relazioni Edelman ha rilevato che solo il 47% delle persone ha dichiarato di fidarsi di un manager ed il 44% di un consiglio di amministrazione. Il 61% invece, si fida di “una persona come me”, ed il 53% di un “dipendente normale”. La fiducia “orizzontale” cresce a scapito di quella “verticale”.

Tutto questo genera un mondo in cui le proteste generate da errori aziendali possono trasformarsi in valanghe con una tale rapidità ed imprevedibilità da rendere difficile la reazione da parte di un’azienda; e nel mondo online la responsabilità sociale d’impresa può trasformarsi anche in vendetta.

Il sociologo ed economista politico britannico William Davies (sul Guardian, Why we stopped trusting elites) conferma che la fiducia su cui si basano da secoli le società moderne è così pervasiva e normale che non ce ne accorgiamo quasi. Gran parte di ciò che riteniamo vero sul mondo si basa sulla fiducia in giornali, esperti, funzionari, emittenti televisive, comunicazione aziendale. La società moderna è una rete complessa di relazioni sociali basate sulla fiducia, tenute insieme da rapporti, resoconti, documenti e testimonianze. Ed i continui scandali, denunce di corruzione ed errori minano alla base la fiducia su cui si reggono la società e le aziende.

La tendenza al calo di fiducia è però in corso nel mondo occidentale da decenni, come dimostrano molte indagini ed inchieste. E quando la fiducia scende sotto un certo livello, molte persone arrivano a considerare falso l’intero mondo dell’economia e della politica. Al calo di fiducia contribuiscono da una parte la diffusione della tecnologia digitale che lascia molte tracce di dati potenzialmente in grado di contraddire dichiarazioni pubbliche e perfino di minare aziende, settori economici ed intere istituzioni. E’ impossibile provare con certezza che un’azienda è corretta e che non ha manipolato le informazioni che fornisce, ma è molto più facile dimostrare il contrario.

Gli scandali di questi anni, in politica dai documenti di Wikileaks mai smentiti alle indagini che rivelano casi continui di corruzione, ed in economia dal caso Volkswagen (per la sistematica e deliberata manipolazione dei controlli delle emissioni l’A.D. Martin Winterkorn si è dimesso) a quello di Carlos Ghosn (potentissimo manager incarcerato, anche per rinegoziare gli accordi tra Renault e Nissan), mostrano un intreccio di pecche morali senza tempo (avidità e disonestà) e di tecnologie che denunciano gli illeciti su una scala senza precedenti e con effetti molto più drammatici. Come dice Slavoj Zizek “non abbiamo saputo niente che non immaginassimo già, ma un conto è sapere le cose in generale, un conto è avere i dati concreti”.

Gli scandali non servono a produrre immagini giuste o rappresentative del mondo, ma a far saltare il coperchio delle menzogne e delle verità nascoste. È bene che le notizie ed i fatti negativi vengano fuori, ma dobbiamo leggerli non generalizzando la delusione, ma invece con atteggiamento costruttivo, come validazione della fiducia meritata nella parte positiva della classe dirigente. Come in campo economico la Corte dei Conti penalizza chi produce danni erariali, un’analoga istituzione dovrebbe sanzionare chi, attraverso fake news che generano paura, spaventa, terrorizza e disillude i cittadini. La connessione tra fiducia e dati concreti è infatti importantissimo, e, di conseguenza, non dobbiamo essere attori passivi nel mercato reputazionale, ma attenti osservatori dei legami sociali e dell’impatto che la fiducia/sfiducia produce nelle persone e sul territorio.

Nell’età delle e.mail, dei social network e degli smartphone, ci ricorda Davies, ogni attività sociale genera dati grezzi e questi si trovano da qualche parte; la verità diventa come la lava sotto la crosta terrestre, che periodicamente fuoriesce dai vulcani.

Da un punto di vista macro, per tenere sotto controllo diversi centri di competenza e di potere è necessario un sistema pluralistico di pesi e contrappesi: il politologo Robert Dahl sosteneva che non importa quanto potere sia concentrato in mani di singole autorità, purché nessuna sia in grado di monopolizzarlo. E lo stesso vale anche in economia; la mancanza di controlli e contrappesi porta pericolosamente fuori strada.

A livello di settore e d’impresa, in tale contesto, la reputazione è un tesoro preziosissimoperché genera fiducia, base di relazioni serene fondate sulla credibilità, da difendere con impegno costante. Ma la fiducia non può essere coltivata solo all’esterno verso i clienti ed i mercati, perché si rivela presto fallace, e gli interlocutori ne colgono la strumentalità.

Una reputazione solida si fonda invece su un clima generale, che pervade tutta l’impresa e che si diffonde dal management ai dipendenti e ai collaboratori e quindi ai fornitori, anche lontani, e poi ai clienti ad alla comunità locale. Nasce da un atteggiamento di rispetto, stima e collaborazione che si percepisce come coerente in ogni attività dell’azienda.

Così le politiche per creare fiducia e reputazione non sono più viste come strumentali, perché sono coerenti con l’atteggiamento di fondo e percorrono tutte le attività aziendali: ed allora la partecipazione ed il dialogo interno all’azienda si riflette nel dialogo con i diversi stakeholder. In tale quadro difficoltà, piccole incoerenze ed errori aziendali potranno essere perdonati, considerandoli imperfezioni lungo un percorso difficile ed impegnativo, ma serio.


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