Certificazioni: identikit ragionato di uno strumento

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Che cosa sono le certificazioni? Sono veramente utili e quali informazioni aggiungono ai prodotti che acquistiamo?

a cura di Valentino Bobbio, Segretario Generale NeXt

Le certificazioni e la tracciabilità di prodotto ci informano sulla provenienza delle materie prime e sulla qualità del processo produttivo. Ad esempio, le certificazioni sulla provenienza del legno o sugli alimenti ci informano sulla qualità della gestione forestale o sulla qualità sociale ed ambientale della filiera di approvvigionamento. I marchi PEFC o Fairtrade, per limitarci agli associati di NeXt, svolgono un ruolo essenziale, accreditando le aziende certificate presso i clienti, ed informando, allo stesso tempo, i consumatori che vogliono scegliere acquisti responsabili.

L’approccio di NeXt, finalizzato a fare crescere una cultura di vera sostenibilità, è esigente, e chiede alle imprese un impegno serio di analisi e valutazione delle conseguenze sociali e sull’ambiente, ed un comportamento conseguente e coerente dell’azienda. Solo a tali condizioni viene dato alle aziende sostenibili il sostegno di mercato attraverso il voto col portafoglio.

 

 

Le informazioni date dalle certificazioni costituiscono una fonte conoscitiva importante per i cittadini che votano con il portafoglio. Infatti, come è possibile sapere se il legno proviene da una gestione forestale sostenibile? Come è possibile sapere se certi prodotti dell’agricoltura tropicale sono realizzati rispettando le persone che vi lavorano e l’ambiente, e quindi in modo equo e responsabile?

E’ necessario che qualcuno – affidabile come il medico a cui ci rivolgiamo per curarci perché sappiamo che ha studiato ed ha ottime competenze nella sua disciplina – ci certifichi fatti e caratteristiche che non possiamo verificare da soli, perché richiedono conoscenze tecniche, analisi in loco, esperienza nel settore, ecc.… La certificazione di parte terza serve tanto più quanto maggiore è la “distanza”, geografica o di conoscenza o d’altro tipo, che separa il consumatore dal produttore.

Come spiega il presidente di Fairtrade Italia, se uso le zucchine che coltiva mia madre nel giardino di casa sua, non ho bisogno che qualcuno mi certifichi che sono biologiche, perché lo so! La certificazione serve quando non sono in grado di accertarmi da solo delle qualità del prodotto o del processo produttivo. In questo caso, è meglio che ci sia un terzo competente e qualificato che mi certifichi l’origine, perché da solo brancolerei nel buio. Chi certifica deve controllare se un prodotto/servizio è “compliant” con uno specifico disciplinare. Il disciplinare spiega, ad esempio, cosa significa equo, e la certificazione controlla se quel prodotto è realizzato rispettando le regole del disciplinare, e quindi garantisce che il prodotto così realizzato sia equo (o magari no).

Chi scrive il “disciplinare” (ad esempio Fairtrade International, composto per il 50% dai produttori e per il 50% dalle organizzazioni nazionali Fairtrade) è neutro e non sa neanche chi lo utilizzerà e chi lo applicherà nel tempo. Talvolta, come nel caso del biologico, il disciplinare è fatto addirittura dagli Stati (o dalla UE).

Per controllare (e certificare) se sia stato rispettato il disciplinare, occorre mandare un esperto a controllare quello che si fa e come lo si fa, per poter quindi assegnare la certificazione che informerà il consumatore. Qualunque meccanismo di certificazione viene svolto da un soggetto pagato per farlo professionalmente. E questo soggetto “deve” essere indipendente, realmente terzo, e cioè non coinvolto nelle relazioni commerciali. In un sistema di certificazione accreditato, le procedure utilizzate dal soggetto certificatore devono essere accreditate da un organismo pubblico, cioè dallo Stato (in Italia Accredia, in Germania DAKKS).

Allora come assicurare la terzietà dei processi di certificazione indipendente? Se le certificazioni sono commissionate e pagate da chi viene sottoposto a verifica, i certificatori come riescono a mantenere e garantire ai terzi l’indipendenza di giudizio?

Nel racconto di sostenibilità precedente ci siamo chiesti perché le nostre imprese delocalizzino, e ci siamo risposti che sono attratte dai bassissimi costi del lavoro, dalle scarse attenzioni ambientali e dal limitato impegno per la sicurezza in molti Paesi del Terzo Mondo. Abbiamo visto come la fabbrica tessile Ali Enterprises di Karachi in Pakistan, dove nel 2012 sono morti per un incendio 260 lavoratori, era stata appena certificata SA8000 dal RINA, su richiesta dell’azienda tedesca committente. La certificazione SA8000 viene data alle imprese impegnate nella sicurezza dell’ambiente di lavoro, nel rispetto dei diritti umani e dei lavoratori e nella tutela dei minori. In quel caso la realtà si è mostrata ben diversa. Il RINA ha perso molta credibilità e le famiglie delle vittime gli stanno chiedendo un cospicuo risarcimento. La pressione per acquisire clienti e per realizzare il budget stabilito porta talvolta a scelte rovinose. La ricerca del denaro sopra ogni cosa porta a gravissime conseguenze per le persone.

Analoghi dilemmi si pongono per i valutatori “indipendenti” di programmi o progetti: a volte, se aprono troppo gli occhi, possono essere minacciati dal committente che paga di sollevarli dall’incarico, ricordando loro che ci sono molte altre aziende che aspettano di prendere il loro posto. La negoziazione è sovente complessa ed il valutatore deve scegliere tra etica professionale e cliente. La mancanza di etica del committente mette a prova quella del valutatore.

Le certificazioni per le aziende sono uno strumento di promozione commerciale e per il cittadino una fonte attendibile di conoscenza sul reale comportamento dell’impresa, e quindi di garanzia. Percorsi che assicurino l’indipendenza del certificatore, e anche del valutatore, sono un vantaggio tanto per le aziende che intraprendono un serio percorso di certificazione quanto per i certificatori. L’accesa competizione e la pressione delle multinazionali della certificazione hanno bisogno, oltre ai controlli degli enti di accreditamento, di un contrappeso che rompa il rapporto di dipendenza economica del certificatore dal certificato.

Lancio una proposta, tutta da valutare e da dibattere, di cui sono il solo responsabile. Per spezzare il rapporto economico tra certificato e certificatore, si potrebbe inserire obbligatoriamente un organismo terzo. L’azienda che volesse certificarsi potrebbe incaricare un organismo privato paritetico (composto ad esempio da associazioni di imprese, sindacato, ente di controllo) – e quindi sottoposto ad un controllo reciproco ed incrociato – di selezionare il certificatore secondo lo schema di certificazione prescelto e di attribuirgli l’incarico, e poi, a fine verifica, di pagarlo. Tale schema di lavoro dovrebbe valere a livello europeo, per non penalizzare i certificatori italiani a causa del mutuo riconoscimento delle normative nazionali. Lo stesso processo dovrebbe essere richiesto per affidare le valutazioni “indipendenti” dei programmi/progetti a finanziamento pubblico, ora commissionate e pagate direttamente dal valutato, e quindi poco indipendenti, nonostante la loro denominazione.

Un percorso di certificazione più severo scoraggerebbe le imprese che non sono motivate ad un percorso serio di miglioramento, costerebbe un poco di più, ma assicurerebbe una reale indipendenza dei certificatori e dunque accrescerebbe la credibilità ed il valore della certificazione per l’azienda e tutelerebbe la professionalità dei certificatori. Nel caso dell’Ali Enterprises il certificatore sarebbe stato libero di vedere di più, perfino ciò che appariva molto evidente, e di imporre interventi per la sicurezza prima di rilasciare la certificazione. Tale operazione potrebbe ridurre il mercato delle certificazioni sul breve periodo, ma, rendendolo ancora più credibile perché più indipendente, porrebbe le basi di un futuro più solido sviluppo.

In conclusione, le certificazioni di prodotto e di impresa sono preziose perché informano sulla strategia d’azienda verso la sostenibilità ed evidenziano percorsi seri e coerenti di miglioramento, che è necessario conoscere per il voto col portafoglio dei cittadini.

Chi si farebbe operare da un medico, di cui si ignora se sia laureato?
Così da quali aziende decidiamo di comprare, offrendo loro il nostro sostegno di mercato?
Insomma, l’attendibilità e l’affidabilità delle certificazioni è troppo importante per non fare di tutto per accrescere la loro indipendenza e terzietà e quindi la loro credibilità. Esploriamo allora insieme nuovi percorsi per garantirla.


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